I’ll see you on the dark side of the moon - per Ivan Guerrerio
- Gaia De Pascale
- 22 mar
- Tempo di lettura: 3 min
Alla fine lo hai fatto davvero.
Ti sei consegnato.
Il finale di quel libro (L’ultima notte di quiete), in un certo modo che non so spiegarti, mi aveva fatto molto male. Bello e feroce, come tutte le cose che valgono davvero la pena. Eppure il finale di quel libro è stato anche l’inizio della nostra “stramba” amicizia. Stramba, sì. Ci siamo visti tre volte in quattordici anni (qui è dove ho tirato un po’ le somme, prima di vederti per quella che non sapevo sarebbe stata l’ultima, di quelle volte) e non sapevamo niente l’uno dell’altra. Non credo che abbiamo mai parlato dei miei figli o dei tuoi genitori, di dove andassimo in vacanza, del giorno dei nostri reciproci compleanni, del nostro piatto preferito.
Eppure.
Eppure pochi mi hanno conosciuto come mi hai conosciuto tu. Ci sono mondi a cui il resto del mondo non può avere accesso, e nei quali le cose “vere” non sono quelle che accadono. Ci sono vite altre, al di là della vita, ed è una questione principalmente di linguaggio (so che tu mi puoi capire): la nostra lingua era tutta impegnata a incantarsi per quel capolavoro assoluto che è Le palme selvagge di Faulkner, o a disquisire di quale fosse l’opera migliore di McCarthy (mi stavi prestando Meridiano di sangue a Bologna, mio Dio, perché non l’ho preso)?I nostri discorsi erano interamente per Ultimo tango a Parigi, e per David Lynch, e per la musica italiana anni Sessanta. Erano fatti di storie torbide di assassini seriali e delle rivoluzioni che non abbiamo mai smesso di sognare.
Eri un comunista vero, o forse “solo” un vero uomo libero, senza mezze misure, senza compromessi, uno che ti apriva la sua casa, ti preparava il letto, ti dava otto se aveva dieci (e quel due di resto, probabilmente, se lo beveva al pub o lo allungava al primo disgraziato trovato per strada), e ti regalava città (mi hai regalato Milano, mi hai regalato Bologna) solo perché a te piaceva quello che scrivevo io, e a me quello che scrivevi tu. Così per me più di ogni altra cosa sei stato la scrittura, tutta la tua intensa, meravigliosa scrittura, e buona parte della mia, che ha sempre avuto bisogno di qualcuno - come te - che ci credesse anche per me. Per questo la tua assenza scava un vuoto grande, e fa male. Mi verrà da scriverti ancora, e so che lo farò. Mi verrà da scrivere, pensando a te, e questo è tutto quello che davvero conta.
Non sapevo niente di te, tu niente di me, eppure sapevamo tutto quello che c'era da sapere. E ti ho voluto bene. Ed è tardi, ormai, perché alla fine lo hai fatto davvero, ti sei consegnato ‘disarmato là dove non si deve andare la sera, dove dicono che le persone scompaiono': La Boca, o Twin Peaks, o The dark side of the Moon, dove ci rivedremo un giorno - un giorno che è già qui, perché quella vita al di là della vita in cui ci siamo incontrati non finisce proprio mai.
PS: Avrei voluto portare dei papaveri rossi, oggi, al tuo funerale. In qualche modo sono arrivati, grazie a questo disegno di una persona che non conosco, Laura Filippi, ma che evidentemente passeggia insieme a noi in quel mondo al quale il resto del mondo non può avere accesso.
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